IL VALZER DELLE MASCHERINE

Secondo quanto riportato nei verbali del Comitato Tecnico Scientifico recentemente pubblicati dalla Protezione Civile si viene a sapere che al 13 marzo non vi erano evidenze per raccomandare di indossare le mascherine sui luoghi di lavoro, dunque non ci si scandalizzi troppo, dirà qualcuno, se oggi sussistono ancora residue perplessità sul loro utilizzo tanto da sfociare in alcuni casi in manifestazioni di aperta avversione ai dispositivi di protezione. In particolare, si legge nei verbali «che tutte le raccomandazioni scientifiche elaborate internazionalmente riportano chiaramente che non vi è evidenza per raccomandare indiscriminatamente mascherine chirurgiche per la protezione contro SARS-CoV-2», mentre le si raccomandano “stringentemente” – termine tecnico evidentemente in uso fra virologi – per tutti gli operatori sanitari a stretto contatto con i malati. Prima di arrendersi ai negazionismi e alle teorie del complotto è bene però concentrarsi su un altro avverbio, quel «indiscriminatamente» che è la chiave per comprendere il punto della questione: temeva, il Comitato Tecnico Scientifico, che si producesse un assalto indiscriminato a quelle farmacie che le mascherine nel frattempo le avevano già esaurite da un pezzo.

Appena due giorni prima, l’11 marzo, era stato esteso il lockdown a tutto il territorio nazionale e ancora gli esperti consigliavano tuttalpiù le sole mascherine chirurgiche nel caso di isolamento domiciliare per evitare di contagiare i familiari. L’8 aprile in un rapporto del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC) poi pubblicato sul sito del Ministero della Salute si leggeva che «Le raccomandazioni sull’uso delle mascherine facciali nella comunità dovrebbero tenere attentamente conto delle lacune delle prove di efficacia, della situazione dell’offerta e dei potenziali effetti collaterali negativi»: la scarsità delle forniture avrebbe dovuto forse limitare gli appelli al ricorso alle mascherine? D’altro canto si tratta di quello stesso ECDC che il 14 febbraio valutava improbabile la diffusione del coronavirus in Europa, come riferisce in un’intervista lo stesso Ministro della Salute Speranza. Poi, tutto d’un tratto, contrordine: le mascherine divennero improvvisamente indispensabili e via via sempre più disponibili sul mercato, affiancate al lancio di una grossa fornitura di “mascherine di Stato” a prezzo calmierato. A pandemia già conclamata si mosse anche l’OMS che ne consigliò l’uso in tutti i luoghi chiusi e affollati, per non dire delle ordinanze regionali che ne disponevano d’urgenza l’obbligatorietà anche all’aperto, tanto che in mancanza d’altro sarebbero andate bene anche le sciarpe. Dal non essere indiscriminatamente raccomandate alle soluzioni improvvisate e fai da te, un balzo considerevole per “l’evidenza scientifica”.

A complicare il quadro già di per sé intricato intervenne l’improvviso moltiplicarsi degli esperti che travolti da repentina notorietà si misero a dispensare ciascuno il proprio parere professionale, quotidianamente presenti sugli schermi fino a far temere che nessuno, nel frattempo, fosse rimasto sul ponte di comando a reggere l’urto della tempesta. Su internet la situazione non era migliore, si susseguivano gli studi più disparati sulla dimensione delle maglie delle mascherine comparate a quella del virus e ricostruzioni 3D della dispersione delle goccioline di saliva in caso di tosse o di starnuti, peraltro da trattenere nelle pieghe dei gomiti, ma tanta mole di informazione finiva solo per confondere ancora di più le idee. Tuttavia di fronte a tante contrastanti indicazioni le mascherine alla fine si imposero come prima risorsa contro il Covid-19 e se pure non garantivano una protezione assoluta di fronte all’imponderabilità del contagio, costituivano se non altro un primo sbarramento alla dispersione di quei famigerati droplets, cioè le goccioline di saliva, che si conservavano sulle superfici, a dare ascolto alle più accreditate ipotesi, da un minimo di poche ore a un massimo di alcuni giorni, in special modo sui cartoni delle pizze.

Di confusione se n’è fatta, ma per inesperienza, è la candida ammissione del Ministro Speranza che dichiara come tutti abbiamo imparato via via sul campo le modalità migliori per contrastare il virus, come a dire che siamo umani, «nessuno aveva il manuale di istruzioni», e che la decisione di tenere riservati i rapporti era stata comunque una scelta del Comitato Tecnico Scientifico perché si trattava di un documento con ipotesi «molto variegate» in cui vi erano «valutazioni ipotetiche, aleatorie», cioè niente di più che un foglio di brutta di cui «alcune intuizioni sono state pure applicate». Di certo non una dimostrazione di chiarezza e linearità e tuttavia ci si domanda a quale altra autorità potremmo affidare le decisioni che riguardano la nostra salute se non a un comitato scientifico, di sicuro non al responso estemporaneo degli umori mutevoli del web. Nel frattempo a Roma tentavano di bruciare le mascherine, riedizione più o meno consapevole di quel movimento di protesta che a San Francisco contestò l’imposizione delle mascherine protettive durante l’epidemia di spagnola del 1918, come a dire che la storia si ripete. Intanto con la riapertura delle scuole le mascherine saranno obbligatorie anche al banco per i 50 mila studenti per cui non è stato possibile rispettare il metro di distanza, saranno distribuite gratuitamente, lo Stato ne consegnerà 11 milioni al giorno.

Articolo a cura di Ivan Begio